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di corrispondere cinque ghinee mensili al lontano Federici (I, 272). Il quale ultimo, in ogni caso, nonché essere stato costretto a scappare da Londra per le sue furfanterie, se ne era andato, assai tranquillamente, a Milano nel 1803, perché invitato dal vicepresidente Melzi a mettere in iscena alla Scala il suo Castore e Polluce (Fétis, IV, 79-80; Eitnkr, III, 404).— Checché sia di tutto ciò e quali che possano essere i risultati di un’ indagine, che qualche appassionato studioso del D. P. dovrebbe pur compiere o far compiere a codesto proposito a Londra, mettendo anche a profitto due opere rarissime, che purtroppo non son riuscito a procurarmi : gli Aneddoti piacevoli e interessanti occorsi nella vita di Giacomo Gottifredo Ferrari (Londra, 1830, 2 voli.), che fece a Londra il maestro di canto dal 1793; e, ancora meglio, le giá ricordate Reminiscences of thè King’s Theatre and Theatre Royal Drury Lane, including a period of nearly half a century, with originai anecdotes of many dislinguished persons politicai, literary and musical di Michei.e Kelly (London, 1826, 2 voli.); — certa cosa è che soltanto nel 1803 il D. P. scrisse il libretto di Castore e Polluce (ossia Jl trionfo dell’amor fraterno ), e a dirittura nel 1804 l’altro del Ratto dí Proserpina, musicati entrambi dal giá ricordato Pietro di Winter (Fétis, Vili, 576; Eitner, X, 277). E nel 1803 del pari conobbe, com’egli ricorda (I, 254), Filippo Pananti (1766-1837), del quale basterá rammentare che, verso il febbraio di quell’anno, aveva mutato il suo volontario esilio parigino in quello di Londra, e che fu, poco dopo la partenza del D. P. per l’America, anch’egli «piccolo Metastasio... del teatro regio italiano di Londra» (lettere del Pananti a Luigi Angiolini, da Londra, 15 febbraio 1803 e 7 febbraio 1806, nei citati Scritti minori , pp. 172, 179), dichiarando anche che gli era riuscito non poco grato «alteramente circondar la fronte Del serto istesso onde s’ornò Daponte» ( Poeta di teatro , c. lxxxix, st. 12, in Versi e prose, Firenze, 1831, III, 156, e cfr. ivi, pp. 159-60). — Come poi il D. P. dallo stato di efimera floridezza, in cui si trovava alla fine del 1S03 (I, 267), precipitasse in poco piú di un anno nella piú estrema miseria, narra egli stesso (I, 267-75) col suo solito confusionismo; nel quale, per altro, s’intravede chiarissimamente che il Taylor, quell’«uomo senza gratitudine e senza onore», anzi quell’» assassino» (citata lettera al Colombo del 24 settembre 1818), al quale egli volle addossare tutta la responsabilitá della propria rovina, avesse sulla coscienza assai minori colpe di quelle che il nostro autore si compiacque poi (e nella citata lettera al Colombo ancora piú che nelle Memorie) di attribuirgli. Certamente anche nel 1804-5, secondo almeno quel che narra il D. P. (I, 268, 272), i creditori del suo impresario gli dettero qualche molestia, ma senza alcuna malafede di costui (I, 268); il quale anzi, non pago di averlo indennizzato dei danni patiti (I, 273) e avergli fatta guadagnare, come si è detto, una somma considerevole, si offri anche a continuargli a pagare in America lo stipendio di poeta (I, 274). E di questa offerta il D. P. s’avvalse subito per farsi anticipare dal Gould (che è quanto dire regalare dal Taylor)