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Ademollo (Firenze, 1897) e del galantissimo monsignor Giandomenico Stratico (1732-99), vescovo di Cittanova (Istria) e poi di Lesina (Dalmazia), offre notizie e lettere inedite il Molmenti, Carteggi casanoviani, I, 117-33. — Quanto tempo durasse la parentesi padovana del D. P. (I) 49 - 53 ) e il suo ultimo soggiorno a Venezia (I, 53-9), non si può affermare con precisione. Se la data del 1° settembre 1777, da lui assegnata (I, 64) al suo arrivo a Gorizia, fosse esatta, si dovrebbe dire che a Padova egli restasse una quarantina di giorni e poco piú durasse la sua novella dimora a Venezia. Ma quella data dev’essere posticipata di circa due anni. Giacché presso lo Zaguri (I, 53) il D. P. stette pure «alcuni mesi», durante i quali «ogni di» gli accadeva, secondo la sua frase favorita, un «accidente» ; tanto che il suo ospite, perduta un giorno la pazienza, ebbe a dirgli: — «Troppi casi, abate, troppi casi 1 -Quest’ultimo di dover assistere in strada pubblica una ingravidata da voi, che partorí sulla pietra istriana, desidero che sia l’ultimo caso che intenderò dalla vostra bocca, abitante in casa mia». — Ma, non ostante l’ammonimento, il D. P. «se ne andò a far cuzzo con la partoriente a San Bartolamio, con sussurro della contrada e con riferte del parroco a quel magistrato» (Zaguri a Casanova, 24 novembre 1792, in Molmenti, Lettere dello Zag. y p. 82). — Licenziato, a quel che sembra, dallo Zaguri, il D. P., verso il 1778, prese alloggio presso un tal Bellaudi, del quale, checché egli narri piú oltre a tal proposito (I, 217-9), >1 processo, di cui or ora si discorrerá, assodò che egli avesse sedotta e rapita la moglie, la fiorentina Angioletta, con cui convisse poi pubblicamente e da cui pare avesse anche un figliuolo. S’immaginino gli insegnamenti che un uomo simile poteva dare ai poveri figli di Giorgio Pisani! (I, 53). L’«incorrotta giustizia» (I, 55) del quale si riduceva poi all’esser egli, con Carlo Contarmi, il capo dei «barnabotti» (dei quali parla anche il D. P., I, 25 n), e cioè della parte piú tumultuosa e venale del Maggior Consiglio, e a tramare «contro il governo, chiedendo d’innovare le patrie istituzioni» (Molmenti, Carieggi casanoviani , I, 53 n). Perciò il senato non volle mai eleggerlo al «pubblico importantissimo ufficio» (I, 56) cui egli aspirava, e cioè alla carica di avogador (lettera di Giovan Matteo Baldi a Francesco Dona, capitano e vicepodestá di Verona, del 6 marzo 1780, in Carlo Grimaldi, Giorgio Pisani e il suo tentativo di riforma , Venezia, 1907, p. 86); il che (probabilmente verso i principi del 1779) détte origine alla «frottola» (II, 140-2) e al lungo sonetto caudato (I, 56-8) del D. P., nel quale l’Emo e il Tron sono rispettivamente Alvise Emo (1710-90), senatore, savio del Consiglio, inquisitore di Terraferma e correttore alle leggi, e Andrea Tron (f 1785), procuratore di San Marco (Molmenti, Cart. casan., I, 58 n, 190 n). — Piú che probabile che i versi dapontiani suscitassero non poca irritazione nel senato, e che i «grandi» cogliessero volentieri la prima occasione per isbrigarsi di un cosí turbulento versaiuolo (I, 59). Sennonché la fuga del D. P. da Venezia ebbe luogo in un modo affatto diverso