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cosa. Ripeterò solo queste poche parole. Il mio amico Nardini è ricco e felice, ecl io a settantacinqu’anni fo il maestro di lingua per vivere. Dirò col Zappi: — «Chi sta meglio di nui?». — Ma questo appartiene a un altro punto della mia storia, ed io ho giá commesso un altro anacronismo nel primo volume, per cui mi son piú volte pentito.

Pag. 275. La prima edizione, alla fine della terza parie, reca la seguente «appendice» / A UN SIGNORE DI FILADELFIA.

L’anno 1793, passando per Gant, ebbi occasione di fermarmivi piú giorni con un amico, ch’avea conosciuto a Vienna. Entrai con lui in una bottega di caffè, dalla quale egli usci pochi momenti dopo per qualche faccenda. Entrò un giovinotto, mi salutò, s’assise vicino a me e, vedendo ch’io leggeva le gazzette di Vienna, mi chiese se v’erano delle novelle. Risposi che v’era un articolo importante, relativo alla regina di Francia, e si cominciò a parlar di politica e di rivoluzione. M’accorsi ben presto che il povero giovane avea piú parola che senno. Gli diedi delle corte risposte, dalle quali però comprese ch’io era stato a Vienna. Mi disse allora ch’era stato due anni anch’esso in quella cittá, che gli piaceva moltissimo, e che sperava in breve tornarvi. Dopo avermi fatte varie domande de’ teatri, de’ cantanti, dell’opera italiana, tacque per pochi minuti, e, con un á propos fuori di proposito, mi domandò s’io conosceva un certo Da Ponte. Gli risposi che il conosceva. — È ancora colui — gridò egli allora — il poeta de’ teatri imperiali ? — Da quel «colui», proferito con enfasi, trassi un cattivo augurio: tuttavolta, dissimulando, gli risposi che piú non v’era il Da Ponte, ma che v’eran in suo loco Bertati e Casti. — Hanno fatto bene — gridò egli allora — a cacciar via quello sciocco e a pigliar Casti in sua vece, come quello che ha date ben altre pruove del suo divino talento. — Gli piacque allora informarmi che l’abate Giambattista Casti era stato l’autor della Cosa rara , del Figaro, dell’ Arbore di Diana , deWAssur e del Don Giovanni , che sono