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diligenza di Praga, indi dal padre Huber. Narrai per esteso tutta la storia mia a quell’onestissimo personaggio; il quale, dopo aver lodata la mia risoluzione e sparse delle lagrime meco, mi pregò di tornar da lui mezz’ora prima che partisse la diligenza. Tornai a casa e scrissi il seguente biglietto alla madre delle due giovani.

Madama, A dieci ore e un quarto non sarò piú in Dresda. Io non so trovare miglior rimedio al male che involontariamente ho fatto. Ho amato, è vero, ma questa è la prima volta che la mia penna lo dice: la mia bocca noi disse mai e noi dirá. Spero che il mio core e quelle due terrene angiolette ne seguiranno l’esempio. Dio dia a lei e alla sua famiglia tutte le possibili prosperitá. Il suo devotissimo servitore L. Da Ponte.

Trentacinque minuti dopo le nove tornai dal padre Hubcr. Trovai ch’aveva messo in un cestello del caffè, dello zucchero, della cioccolata, con varie crostate fatte a posta pe’ viaggiatori, due cartocci di confetti e qualche bottiglia d’un liquore squisito. Mi mise addosso di propria mano una buona pelliccia, sul capo una berretta da viaggio, e volle a forza ch’io prendessi il suo manicotto. Vera un borsellino secreto, chiuso con bottoncini d’argento, che ordinommi di non aprire prima d’esscr arrivato alla prima posta. Ubbidii; e, quando l’apersi, vi trovai un piccolo Boezio, De conso/a/ione philosophiae , e un Tomaso da Kempis, con una borsetta in cui v’erano dodici monete d’oro del valore di cento fiorini. E facile imnginare la mia sorpresa. Ne piansi di tenerezza c posso assicurar il mio lettore di non aver mai provato nella gioia e nel riso quella dolcezza e soavitá che provai in quelle lagrime di gratitudine. Quando partii da lui, mi abbracciò strettamente, e mi disse queste parole: — Andate, caro Da Ponte; il core mi dice che tutto andrá bene. — La sua faccia, nel dirmi questo, parea brillar propriamente d’ttna luce celeste. E, a vero dire, per vari anni furon quelle parole predizioni profetiche piuttosto che buoni augúri.