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quali, dopo que’ primi miei versi, fui ben accolto e onorato. Non posso ricordarmi, senza un vivo sentimento di riconoscenza, de’ nomi di Strasoldo. Lanthieri, Cobenzl, Attems, Tuns, Coronini e Torriani. Andavano tutti a gara nel compartirmi favori e benefizi. Non potrò mai lodare abbastanza la cortesia e la liberalitá di quegli illustri cavalieri. Amavano essi e me e i versi miei. La pietá, in quelli inspirata dalle mie vicende, gli animava a raddolcir per cento modi l’amarezza della mia sorte. Prevenivano generalmente i bisogni miei ; e lo facevano con tanta nobiltá e delicatezza, che il mio amor proprio non poteva per alcun modo arrossire. Felici que’ paesi in cui si trova abbondanza di tali abitatori! L’indigenza stessa diventa una fonte di beni per chi ha l’anima gentile e capace di sentir il piacere della gratitudine.

La dolcezza ch’io provava nelle loro beneficenze mi facea benedire sovente le mie passate disavventure, lo abitava in una povera cameretta, presa a pigione da me nella casa d’un mercatantuccio di grano. Eravamo ambidue molto poveri, indi ci accordavamo assai bene.

La semplicitá del mio tugurio non era però di alcun impedimento alle visite, che continuamente mi si facevano. Tutti gli amatori delle muse vollero conoscermi. Chi lo faceva per ammirare, chi forse per la speranza di trovare di che criticarmi. Un certo Colletti, che di caporale era diventato stampatore italiano, e che, sognato avendo d’esser poetr, soffrir non poteva gli applausi miei senza noia, disse un giorno pubblicamente ch’io non dovea esser l’autor di quella canzone sulla pace, giacché non aveva poi per diversi mesi alcun altro verso composto. Era stimolato costui dal pungiglione del cacoete poetico. Ogni giorno usciva qualche nuova lueubrazione della sua mal prolifica cornamusa: gli parca quindi impossibile ch’io avessi potuto tener la mia taciturna si lungo tempo, se stato fossi veramente poeta. Un altro stampatore di quella cittá’ 1 ), che (l) Il signor Valerio de’ Valeri.