Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. I, 1918 – BEIC 1797111.djvu/72

seconda parte di quello era il dizionario italiano, cosi cercai la congiunzione «e» e le feci rileggere le stesse parole «und ich liebe Sie». La scenetta allora divenne graziosissima: conversammo almeno un’ora e mezzo coll’aiuto del dizionario, e ci dicemmo scambievolmente diverse cose che parevano dover finire assai seriamente. Fortunatamente arrivarono alla porta diverse carrozze: la bella locandiera fu contra sua voglia obbligata partire, ed io alfine rimasi solo. Mi posi allora a far delle riflessioni su questo bizzarro fatterello. — Come ò possibile — mi diceva 10 — che in un paese dove regna Maria Teresa, principessa tanto famosa per la severitá delle sue leggi, in un paese dove si fanno delle visite notturne, dove un forassero bisogna che dica con tanta solennitá, appena arrivato, di dove viene, dove va, che cosa fa, e dove è obbligato di dare in inscritto nome, cognome, patria, ecc. ccc. ecc.; in un paese, infine, dove i preti, i frati e le spie del governo hanno si grande influenza; coni’è possibile — dissi — che nelle locande vi sia una tal libertá, che può passare in un attimo al piú scandaloso libertinaggio? Contraddizioni in tutto, anche nei governi! — Mentre io stava immerso in questo pensiero, ecco l’ostessina tutta allegra, che torna in camera colle due ragazze medesime ch’avevano assistito alla cena. Portavano queste dei gelati e de’zuccherini, che per forza ho dovuto prendere con lei ^intanto una delle ragazze cominciò a cantare assai piacevolmente una canzonetta tedesca che cominciava: «Ich liebe cinen welschen Manti» (io amo un uomo italiano). Mentre costei cantava, mi ricordai di Calipso e di Leucotoe, e mi figurava in quella situazione di esser Telemaco. Terminata la canzonetta dalla ninfa tedesca, parli coll’altra servetta, ed io rimasi solo colla padrona novellamente. Intesi allora che io aveva bisogno d’un Mentore. Il cortese Morfeo fu il mio. Presi in mano il dizionario, e le feci veder la parola «sonno». Fu discretissima. Suonò 11 campanello, entrò una delle sue serve e l’ostessina con bellissimo garbo parti. La serva scoperse il letto, mostrommi dov’era l’acqua per lavarmi le mani e per bere, e si fermò con ridente volto presso di me. Io non intendeva questa cerimonia.