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Non aprivasi questa casa che il carnovale. Era giunto l’ultimo giorno, e non avevamo danaro né mezzi onde procurarne. Spinti dalla viziosa abitudine, e piú da quella fallace speranza che sempre anima i giocatori, impegnammo o vendemmo alcuni vestiti che ci rimanevano, e raccapezzammo dieci zecchini. Andammo al Ridotto e perdemmo in un batter d’occhio anche quelli. Si può pensare come partimmo da quelle camere. C’ incamminammo taciturnamente al loco dove eravamo soliti ogni giorno di prender gondola. Il condottiero di quella mi conosceva. Io !’avevo trattato piú volte generosamente. Vedendoci malinconici e muti, s’accorse del latto e domandommi se mi occorreva danaro. Credendo che scherzasse, gli risposi, scherzando anch’io, che mi occorrevano cinquanta zecchini. Guardommi sorridendo, e, senza soggiungere una parola, vogò per breve intervallo. cantando, e fermossi al tragitto delle prigioni. Discese ailor dalla gondola, e, in pochi minuti tornandovi, mi pose in mano cinquanta zecchini, mormorando tra’ denti queste parole: — Attili, zioghé e impari a cognoscer i barcaroli veneziani. — Non fu picciola la mia sorpresa. Alla vista di quel denaro la tentazion fu si grande, che non mi lasciò tempo di far certe riflessioni, che per delicatezza di animo fatte avrei in altri tempi. Tornammo sul fatto al Ridotto. Entrando nella prima camera, pigliai in mano una carta da gioco, e, avvicinandomi al banco d’un tagliatore, posi su quella la metti del danaro che io possedeva, e 10 raddoppiai. Passai da quello a molti altri banchi, e giocai per piú di mezza ora con si costante buona fortuna/che mi trovai in breve carico d’oro. Trassi allora alle scale la mia compagna, discesi velocemente, corsi alla gondola, e, dato al gondoliere il suo danaro ed un bel regalo, gli ordinai di condurci a casa.

Aveva io appena vuotate le tasche e messo insieme tutto quell’oro sopra una tavola, che udimmo picchiar la porta. Era 11 fratello di madama. Vid’egli appena questo danaro, che, mettendo un urlo di gioia, gettovvi sopra i barnabotici artigli b). (i) I nobili poveri abitavano generalmente nella contrada di San Barnaba: detti eran da ciò «barnaboti».