Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. I, 1918 – BEIC 1797111.djvu/234

indi al teatro dell’opera. Ma si ingombra era la mente mia d’idee tristi e di neri presentimenti, che non udii una parola o una nota di quello che si recitava o cantava. Verso l’ultima scena una voce, che mi parea di conoscere, gridò dalla loggia alla mia vicina: — Da Ponte! Da Ponte! — Mi volsi e vidi e riconobbi con mio infinito contento l’abate Artusi, amico mio di molt’anni, uomo ornato di talento, di spirito e di cognizioni, non ultimo de’ buoni poeti e primo tra gli ottimi cittadini. Egli era entrato in quella loggia un momento prima per trovare un amico. Nel voltarsi, mi vide, mi riconobbe, corse ad abbracciarmi, e, finita l’opera, usci con me dal teatro e m’accompagnò alla locanda. Quando arrivammo alla porta di quella, vedemmo due persone appostate, una delle quali s’allontanò, ma non tanto presto ch’io non riconoscessi Gabriel Doria. L’altra, facendomisi vicina, mi chiese s’io era il signor Lorenzo Da Ponte, e quando risposi esser quello il mio nome: — Signor Da Ponte

— mi disse, — ho qualche cosa da dirle. — Andai senza rispondere nella mia camera: mi seguitò, e l’abate fece lo stesso. Quando fummo nella stanza, trasse una carta di tasca e lesse : «D’ordine di Sua Maestá imperiale e reale, il signor Lorenzo Da Ponte si contenterá di lasciare Venezia domani, prima di sera». Gli domandai se m’era permesso di chiedere qual fosse il suo nome o l’uffizio suo, ed ei mi rispose ch’era un messaggiero di Sua Maestá imperiale e reale, al magistrato della pulizia. Mi domandò se doveva mostrarmi le sue credenziali; ma l’amico Artusi, che conoscevalo, mi fece un cenno ch’io ben intesi, e soggiunsi che questo non occorreva, ma ch’io 10 pregava d’assicurare tanto Sua Maestá imperiai e reale che 11 signor magistrato alla pulizia che i raggi del nuovo sole non mi ve Irebbero in Venezia.

Quand’egli parti, mi misi a rider si forte, che 1 oste entrò nella stanza mia, per dirmi pian piano che il signor Gabriello era nella camera contigua col messaggiero di Sua Maestá imperiale reale al magistrato della puiizia, e che forse il mio riso potrebbe esser considerato un disprezzo. Lo ringraziai dell’avviso, lo pregai di portarmi da cena, e mi misi a parlar di teatro col buon