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fine; ed io non so veramente quel che addivenuto sarebbe di lei e di me senza un tratto visibile della provvidenza. (Jn giorno, mentre io stava narrando la storia mia ad un onesto italiano, che avrebbe ben voluto aiutarmi, ma che non aveva i modi da farlo, il servo della casa dov’io abitava mi presenta una lettera. Riconosco il carattere della mia sposa, l’apro coll’ansietá che ognuno può imaginare, e con sorpresa uguale a una gioia indicibile leggo queste parole:

Caro Lorenzo, ti mando ottanta fiorini, e venti ne tengo per venir a raggiungerti. Questa somma 1 ’ ho ricevuta ieri dal tuo amico di Praga, che l’ebbe dal buon abate della badia di Sant’ Edmondo. Un certo contadino, per nome Chersenboum trovò la borsetta sulla montagna di Lichtmessberg un giorno dopo la nostra partenza; portolla fedelmente a quel buon religioso, che gli regalò due zecchini, e che, non avendo ricevute molte delle tue lettere, non seppe che ultimamente che, invece d’andar a Parigi, eravamo andati a Londra. Vedi che non bisogna mai disperare degli aiuti della provvidenza. Prima che passino otto giorni sarò con te e ti dirò il resto. La tua Nanci.

Di fatti vi capitò, ma le nostre allegrezze durarono poco. Io aveva giá preparate diverse lettere per gli migliori cantanti e compositori d’Italia, e tutto era vicino ad essere concluso, con giubilo universale di tutti gli amatori di musica e di teatro, quando improvvisamente arrivò la novella terribile della disfatta totale degli inglesi sotto Dunkirk, e i pensieri di divertimenti e di feste diedero loco alla desolazione, ai pianti ed alle orazioni. Mi trovai dunque tra non molti giorni in uno stato il piú deplorabile della terra. Non amici, non roba d’alcun valore, non ripieghi Gli ottanta fiorini non durarono molto nelle mani d’un uomo che non ha mai imparata l’economia; e, per colmo della disgrazia, era difficilissimo ricevere lettere d’alcuno, pel freddo eccessivo che tenea impedita la navigazione di Londra, di dove io potea ancora sperar di ricevere qualche soccorso. In tale emergenza risolsi di scriver a Casanova, e, per meglio toccarlo, gli scrissi in verso, e gli feci una patetica pittura dello stato mio, chiedendogli qualche danaro. Ma egli non si curò di me,