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divenne con me piú trattabile, e, incontrandomi pochi di dopo per via, mi fermò, mi diede la mano, e in un’aria di bontá, che parea sincera: — Bravo! — mi disse — signor Da Ponte:

avete superata la nostra aspettazione. — Chinai la testa, ma francamente soggiunsi: — Eccellenza, ci volea poco.— Volli allora, senza perder tempo, pensar a qualche bello ma differente soggetto, su cui scriver un altro dramma per Martini; ma troppi furono i compositori che mi chiesero drammi, o chiedere me li fecero da’ primi signori della cittá, per lasciarmi la libertá di scegliere il coinpositor della musica che piú mi fosse piaciuto. Malgrado mio, mi vidi costretto di scriverne due per due maestri di cappella, ch’io non amava né stimava molto, e della cui caduta era sicurissimo. Uno di questi fu Reghini, per cui pregava e instava Salieri, che avea dimenticati i suoi giuramenti e desiderava vivamente di scriver la musica per qualche mio dramma e che io ho creduto onesta cosa compiacere, memore de’ buoni uffizi fatti per me nella promozione mia al poetato. Scrissi dunque un’operetta buffa, che intitolai II filosofo punito ; ma era meglio intitolarla II maestro e il poeta puniti a vicenda. Cadde, come dovea cadere. Gli amici di Reghini diedero la colpa alle parole : io la diedi alla musica ed alla cattiva opinione ch’aveva del compositore; opinione che soffocava l’estro poetico nella mia testa. La lite non fu e non sará mai decisa. L’altro compositore fu Peticchio, uomo di pochissima levatura e di scarsissimi musicali talenti. Aveva egli giá cominciata un’opera del famoso Brunati, di quello cioè che, Casti suadente, aveva scritto la satira contro II ricco d’un giorno. Ma l’imperatore, che ne avea, poche sere prima, veduta un’altra colla musica d’un tedesco, ch’era la cosa piú miserabile che siasi mai su scena italiana rappresentata, ordinò che opere «brunatiche» non si rappresentassero piú sul teatro di Vienna. Insegnava Peticchio la musica alle sorelle d’una damigella d’onore di corte, e queste erano strettissime amiche del dottor Brusati, mio amico e mio medico. Domandommi questi un favore, esigendo però solenne promessa di farglielo: il che avendogli io promesso, mi chiese di far