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leggere senza disgusto le ariette; e che, trovando un argomento giocondo, capace di interessanti caratteri e fertile d’accidenti, non avrei potuto, nemmen volendo, comporre un dramma cosi cattivo come quelli erano che ietti aveva. Conobbi però per esperienza che molto piú di questo esigesi per comporre un dramma che piaccia, e sopra tutto che piaccia rappresentandosi sulla scena. Come questa prima mia produzione si dovea porre in musica dal Salieri, ch’era, a dir vero, soggetto coltissimo e intelligente, cosi proposi a lui vari piani, vari soggetti, lasciandogliene poscia la scelta. Gli piacque, sgraziatamente, quello che forse era men suscettibile di grazia e d’interesse teatrale. Fu questo II ricco d’uri giorno. Mi misi coraggiosamente al lavoro; ma ben presto m’accorsi quanto piú difficile in ogni impresa sia l’eseguir che l’imaginare. Le difficoltá, che incontrai, furono infinite. L’argomento non mi somministrava la quantitá de’ caratteri e la varietá degli incidenti necessari ad empiere con interesse un piano che durasse circa due ore; i dialoghi mi riuscivano secchi, l’arie sforzate, i sentimenti triviali, l’azione languida, le scene fredde; mi pareva infine di non saper piú né scrivere, né verseggiare, né colorire e d’aver preso a trattare la clava d’Èrcole con man di fanciullo. Terminai alfin, bene o male, quasi tutto il primo atto. Non mi mancava piú che il finale. Questo finale, che deve essere per altro intimamente connesso col rimanente dell’opera, è una spezie di commediola o di piccioi dramma da se, e richiede un novello intreccio ed un interesse straordinario. In questo principalmente deve brillare il genio del mastro di cappella, la forza de’ cantanti, il piú grande effetto del dramma. Il recitativo n’è escluso, si canta tutto, e trovar vi si deve ogni genere di canto: l’adagio, l’allegro, l’andante, l’amabile, l’armonioso, lo strepitoso, l’arcistrepitoso, lo strepitosissimo, con cui quasi sempre il suddetto finale si chiude; il che in voce musico-tecnica si chiama la «chiusa» oppure la «stretta», non so se perché in quella la forza del dramma si stringe, o perché dá generalmente non una stretta ma cento al povero cerebro del poeta che deve scrivere Da Ponte, Memorie