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solo per la renuenza ostinata di alcune classi agiate a «collaborare all’opera di ricostituzione del territorio e della reintegrazione dell'igiene, deve essere rotto e spazzato per dare il respiro alla terra, la salute agli uomini.
Se, proprio in quest’ora di dolore, c’è un problema italiano della guerra, è questo delle... terre del silenzio del Mezzogiorno. L’unità morale si deve raggiungere includendo nella Nazione le anime delle classi più umili dei contadini (Labriola), sopratutto dei contadini meridionali. Si
la nostra malaria (solo per 1/10 strettamente paludoso) sembra risoluta anche giuridicamente. Il diritto al lavoro sulle terre del latifondo, che prima sembrava un’eresia giuridica ed un’insulsa pretesa del proletariato agricolo, dopo gli studii del Curis appare come un fatto innegabile e scientificamente dimostrato. Comunque sia, tutte le disquisizioni più o meno giuridiche, etiche, politiche, saranno superato dalla grandezza degli avvenimenti, in mezzo ai quali l’Italia freme e si dibatte.
La grande riforma della terra dovrà pervadere tutto il futuro congegno della protezione e dell’assistenza sociale; dalla lotta contro la malaria, la tubercolosi, la sifilide... all’assicurazione obbligatoria di tutte le malattie; dall’assicurazione dell’invalidità e della vecchiaia alla protezione ed assistenza dell’infanzia; dall’istituzione di «colonie marine» e «montane» alla istituzione di «Sanatorii», ecc.
Occorre, che quest’opera di rinnovazione e di profilassi sociale abbracci tutta la categoria numerosissima dei feriti della guerra (che l’80% sono contadini), in mezzo ai quali con maggior ferocia il plasmodio della malaria pullula e trionfa.