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Noi c’inchiniamo riverenti a coloro, che offrirono in olocausto alla Patria la divina facoltà della vista, o l’integrità dei loro arti, ma siamo fermamente convinti, che l’opera riparatrice sociale non debba limitarsi solo a questi mirabili infortunati della guerra, ma abbia invece il dovere di estendersi a tutti coloro, la cui integrità organica e la capacità lavorativa rimasero, se non in modo così appariscente, certo non meno gravemente colpita in occasione della guerra. Se, adunque, finora lo Stato ha largito il tesoro delle sue provvidenze a favore di determinate categorie d’invalidi, è suprema necessità di giustizia e di previdenza, che essa completi la sua opera di protezione e di assistenza, volgendo meglio la sua attenzione a quegli «altri invalidi», poveri organismi inutilizzati alla gran causa e profondamente compromessi nella resistenza loro ed in quella dei loro discedenti. La famiglia dei mutilati non è ristretta solo a coloro, che tornarono dalla guerra con un occhio enucleato o con un arto asportato. A fianco a quest’infelicissimi vi sono quelli, ve ne sono molti, i quali, per l’azione subdola, lenta, continua di un veleno, inoculato
dazione della pensione — o dell’indennizzo. E che cosa otterranno gli altri malarici, che non si trovano nelle condizioni volute dall'art. 8? Il Regolamento del maggio, come si vede, ha favorito tutte le altre categorie di mutilati, in genere più gli operai delle industrie che i contadini. Anche qui sembra che si sia voluto seguire la legge sugli «Infortunii».