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96 | ettore fieramosca |
sapeva esporre con evidenza grandissima cose che in gran parte eran pur vere. Ma lo Spagnuolo lo conosceva, e durava fatica a fidarsi di lui.
Prese partito di non dar per allora una risposta precisa, e disse voler conferire coi suoi più intimi prima di prendere una risoluzione. Non lasciò mancare al Valentino nè buone parole, nè uffici cortesi; lo condusse in certe camere terrene, che davan sul mare, facendonelo padrone pel tempo che gli sarebbe piaciuto passare in Barletta; e da alcuni suoi servitori più fidati lo fece servire con quell’onore che si doveva al figlio d’un papa.
Verso sera Fieramosca e Brancaleone giunsero alla porta della città. Appena messi dentro, cominciò a formarsi intorno a loro una folla d’officiali, d’uomini d’arme, di soldati, che s’ingrossava di quanti incontravano per strada, e tutti volevano esser primi a sapere la risposta de’ Francesi. Com’è andata? che cosa hanno risposto? chi combatterà? quando? dove?.... Ma i due amici dicevan ridendo a questa furia: venite alla rôcca e lo saprete. Giunsero alla rôcca, ed introdotti a Consalvo, Fieramosca gli consegnò la lettera del duca di Nemours, che quegli lesse ad alta voce, e diceva accettarsi la disfida, ma negarsi d’accordar campo franco. Questo rifiuto parve strano a tutti, ed il gran Capitano disse:
— Non mi sarei aspettato che i Francesi cercassero sotterfugi per ischivar la battaglia. Ma il campo franco l’avrete: io ve l’assicuro.
Poi chiamato un suo scrivano, gli disse: — Scriverai al duca di Nemours, stia di buona voglia che l’ostacolo è tolto; che gli offerisco una tregua sin dopo il combattimento; ed in fine, che fra due giorni aspetto mia figlia donna Elvira, alla quale intendo far un po’ di festa; s'egli vuole, mentre si posan l’armi, venire a goderla con noi, sarà cagione di renderla più lieta.