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servire: non andranno ventiquattr’ore che vi saprò dire qualche cosa. — Ora trovo Giuliano.... è il fante del Comune.... un diavolo per saper tutto.

— E dove ci vediamo? — domandò D. Michele.

— Dove vi pare.

— Se credete, ci troveremo all’osteria del Sole, così sulle ventidue.

— Siamo intesi, rispose D. Litterio, e lasciato D. Michele maravigliato della propria ventura, s’avviò al palazzo del Comune per rintracciar Giuliano: Se non dispiace al nostro lettore faremo a meno d’accompagnarlo, per non lasciar che D. Michele s’annoi troppo in quest’anticamera.

Aspettò un pezzo inutilmente che Consalvo comparisse; alla fine ottenne dall’usciere di essere introdotto.

Stava il capitano di Spagna ritto accanto alla finestra, avvolto in un robbone di raso vermiglio foderato di vajo; e l’augusta presenza, l’alta fronte, l’occhio scrutatore, la fama in fine d’un tant’uomo risvegliarono nel petto del messaggiero del Valentino quel senso di timore, e direi quasi d’avvilimento, che sempre coglie l’iniquo in faccia all’uomo virtuoso. Fece un saluto umile e profondo, e disse:

— Glorioso signore! l’importanza del messo ch’io reco alla vostra magnificenza m’ha costretto presentarmi a quella sotto un nome che non è il mio. Se in ciò v’offesi, umilmente vi chieggo perdono: ma, come potrete conoscere per voi stesso, il segreto era troppo necessario, nè quegli che a voi mi manda poteva commettersi ad altri che alla vostra gloriosa fede.

A queste parole rispose brevemente Consalvo, che non mancherebbe a chi si fidava di lui, e che esponesse. D. Michele consegnò la lettera del duca: ebbe il salvocondotto, e tornando al suo signore con quello, lo fece sicuro che il segreto della sua venuta in Barletta sarebbe stato custodito da Consalvo.