Pagina:D'Azeglio - Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta, 1856.djvu/95

92 ettore fieramosca

del regno seduto una mezz’ora del dopo pranzo sulla panca dello speziale) e di più voleva che si ridesse. D. Michele crepava dalle risa, e gli diceva: io non conobbi mai il più piacevole uomo! oh bella questa! oh curiosa quest’altra! e così diventarono amiconi in meno di mezz’ora.

In quel tempo Prospero Colonna che usciva da Consalvo col salvocondotto per la sfida, traversò la sala, e tutti gli fecero riverenza. D. Michele domandò chi fosse quel barone, e a D. Litterio non parve vero di far il saccente, e venne a parlar della sfida, di ciò che s’era detto alla cena, di Fieramosca, de’ suoi amori; e D. Michele n’ebbe miglior mercato che non sperava, e disse mostrando premura:

— Questo giovane.... come lo chiamate?

— Fieramosca.

— Questo Fieramosca è egli vostro amico, che vi preme tanto?

— Oh! mio amicissimo. E preme molto al signor Prospero, e poi universalmente a tutti.... È tanto un bravo giovane! Ci vediamo ogni sera o in casa Colonna o in piazza. Peccato! che ha un brutto vizio. Non ride mai, mai! vedete. Sempre con una faccia di scomunicato che ti senti accorare. Eh! io è un pezzo che me n’ero accorto, e non mi volevano credere. Son curiosi questi bravacci di soldati. Pare che sia vergogna per loro d’esser innamorati! Insomma, ier sera il prigione francese che l’ha conosciuto a Roma ha cantato: ed ora poi non c’è più dubbio. Dice bene il proverbio «Amore, tosse e scabbia, non la mostra chi non l’abbia».

La lepidezza del podestà fu accolta al solito da D. Michele con una risata, che dovette replicare due o tre volte, poichè piacque a D. Litterio di replicare altrettante il suo proverbio. Tornati poi sul serio, il primo riprese: