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finestra e lo seguitava guardandolo di malissimo occhio e facendo un viso che ad altri avea presagito sventure. Eppure fra quanti ribaldi avesse al suo servizio, e n’aveva di segnalati, nessuno poteva dirsi tanto l’anima d’ogni sua impresa quanto costui, e se può albergar fede in suo pari, certo e’ n’aveva data prova al suo signore in occasioni di somma importanza. Ma appunto per aver obblighi grandi, e per non potere, senza tagliarsi un braccio, spegnerlo a sua posta, Cesare Borgia l’odiava. L’origine sua era poco nota. I più lo dicevano Navarrese, e sul fatto che l’aveva condotto a’ servigi del duca si raccontava uno strano caso d’una vendetta che egli avea adempita contro un fratel carnale nel modo che passiamo a narrare.

Aveva D. Michele una moglie giovane e bella, ed un suo fratello scapolo e minor d’anni viveva in casa sua. La bellezza della cognata potè tanto sul cuore del giovane, che gettato ogni rispetto dietro le spalle, s’adoperò in modo da ridurla ad ogni sua volontà. Ma non seppero tanto ben nascondere questa tresca che non se n’avvedesse una fanticella: ne fece la spia al marito. Questi postosi in agguato li sorprese: e, cavato un pugnale per dare ad ambedue ad un tempo, venne loro fatto di fuggirgli dalle mani senza altro che una leggiera ferita. Fu tanta la passione del torto ricevuto, che messosi in traccia del fratello il quale colla cognata fuggiva per porsi in sicuro, lo voleva ammazzare ad ogni modo. Ma questi, udito che gli aveva giurata la morte addosso, seppe tanto schermirsi che per molti anni gli ebbe mandato a voto il suo disegno: il che fu cagione che l’offeso disperatosi affatto di poter fare le sue vendette, era da tale furiosa passione condotto al sepolcro.

Intanto venne il Giubileo dell’anno 1500, e nella terra ove dimorava D. Michele si fecero processioni, penitenze, prediche per le piazze, onde molti odii di