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Letto il cartello lo buttò in mezzo, a’ piedi del duca, e Bajardo sguainata la spada lo raccolse colla punta. Ettore allora fatta un po’ di cadenza al ragionamento stava per finire, quando gli corse l’occhio su uno scudo lucidissimo che gli stava appiccato in faccia, e faceva specchio a quelli che gli erano dietro le spalle. Vi scorse l’immagine di Grajano d’Asti: si turbò, e volgendosi, vide ritto a due passi il marito di Ginevra, che cogli altri lo stava ascoltando. Questa scoperta tanto repentina ed impreveduta tolse al fin del suo discorso quella forza, che avrebbe voluto imprimergli. Da quelli, cui non eran noti i suoi casi, fu a tale accidente attribuita una cagione troppo lontana dal vero, e che facea troppo torto all’onore di Fieramosca. Sorrise taluno de’ guerrieri francesi, e vi fu chi bisbigliò non doversi molto temere chi pareva turbarsi al solo parlar di battaglia. Il giovane notò gli atti e le parole, e sentì una vampa di fuoco sulle guance; ma fermò l’animo pensando, alla prova vedranno s’io tremi.

La risposta del duca non fu scarsa nè di parole nè di baldanza, maggiore di tanto che anch’esso dall’aspetto dell’Italiano avea tolto argomento d’animo mal sicuro.

In pochi minuti finì il parlamento ed i due messaggeri trovaron rinfresco per loro e pei cavalli in una tenda vicina.

Grajano aveva esso pure riconosciuto Fieramosca; e quando uscì dalla presenza del duca, gli tenne dietro. S’avvicinò a lui salutandolo col viso poco curante di coloro che negli uomini valutano i doni della fortuna più di quelli della virtù: l’avea conosciuto in povero stato, nè gli pareva che mostrasse essersi molto avvantaggiato dacchè non s’eran più veduti. — Oh! — gli disse, — ser Giovanni.... no, ser Matteo.... diavolo non mi ricordo.... Basta, poco importa. E così, chi non muore si rivede!