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capitolo v. 73


Il buon maestro non disse mai nulla di questo.

Ginevra frattanto s’era risentita, ed avendo aperti gli occhi, li girava intorno attonita. Io, fatto oramai sicuro d’averla viva, e parendomi d’aver operato un miracolo, attendevo di tutto cuore a ringraziar Dio, posto ginocchioni al capezzale di lei, che avevamo allogata in una cameretta del vignaiuolo.

Dopo un poco d’ora, tenendole io una mano, sulla quale appoggiavo la fronte e talvolta le labbra, la ritrasse, e m’alzava i capelli che mi cadevan sugli occhi, guardandomi fisso. Alla fine mi diceva: Oh non sei tu Ettore mio?... Ma come qui?... Dove siamo?... Non mi par la mia camera.... sono in altro letto.... Oh Dio, che cos’è stato?

In questa Franciotto, che s’affacciava ogni tanto per vedere come andasse la cosa, comparve sull’uscio. Ginevra diede un grido, e gettandomisi addosso tutta tremante diceva: — Aiutami, Ettore, eccolo, eccolo! Vergine SS. aiutatemi! Io mi sforzavo rassicurarla il meglio che poteva, ma tutto era niente, e mostrava aver tanto spavento del buon Franciotto che pareva che gli occhi le volessero schizzar fuori dalla fronte. M’avvidi dello scambio, e le dicevo: — Ginevra, sta di buona voglia; non è il duca costui, ma un mio carissimo amico, e ti vuole quanto bene egli ha.

L’avresti veduta a queste parole deporre ogni timore, e volgersi piacevolmente a Franciotto quasi in atto di chieder perdono. Pensa come in cuor mio maledivo quello scellerato!

Ginevra allora cominciò a domandarmi che le spiegassi in qual modo si trovasse quivi, ed io la pregavo fosse contenta per allora aver fede in me, ed attendere solo alla salute, che voleva riposo, e tanto le dissi, che mi riuscì di quietarla, e verso la mattina fattole prender un cordiale, s’addormentò.

Ma non dormivo io. Ben conoscevo ch’era pazzia lo