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storo. Ma, come a Dio piacque, abitando al principio della Longara, quando fu a Ponte Sisto, per esser così breve tragitto, lasciò andar gli altri, che passarono il ponte, ed egli s’avviò a casa sua. Franciotto lo raggiunse sotto l’arco, e dettogli non temesse di nulla, lo pregò venisse insino a Ripa Grande per una giovane che stava col mal di morte; e tante gliene seppe dire che lo condusse da noi.

Come fu entrato sotto coverta tosto riconobbe me e la Ginevra, e s’accorse ch’egli aveva dato in un trabocchetto. Franciotto, trattomi da parte, mi narrò ciò che aveva veduto avanti a Santa Cecilia e le parole udite, tantochè principiai a riflettere; mi si squarciò il velo, e capii come doveva essere andata la cosa. E stringendo maestro Jacopo, e minacciandolo, chè era il più pauroso uomo del mondo, lo feci cantare: e mi disse che per ordine del Valentino avea dato alla donna la sera della cena un vino medicato, per virtù del quale era rimasta assopita, ed aiutando esso l’inganno, l’avea dichiarata morta, onde, portata in chiesa, il duca avesse agio a venirsela a prender la notte.

Era un vero miracolo che una trama tanto bene ordita fosse andata a voto: e pensa quanto ne ringraziai Iddio.

Allora volto a maestro Jacopo, gli dissi: — Ascoltatemi, maestro Jacopo. Io potrei farvi cascar morto con questa daga, ma vi voglio conceder la vita col patto che sia salva quella di costei, onde adoperate i vostri argomenti se volete tornar sano alle vostre brigate. Se poi direte ad anima viva come sia finito questo fatto, io v’ammazzerò come un cane ad ogni modo.

Il maestro spaventato mi promise tutto ciò che volli, e con gran premura si mise attorno alla donna, onde io consigliatomi con Franciotto feci scioglier la barca e tutti insieme per fiume ne venimmo alla Magliana, che di poco eran sonate le cinque ore.