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70 | ettore fieramosca |
parlarmi o darmi disturbo meno che poteva in quei momenti, ben conoscendo che il caso mio non era da consigli, ma solo d’aiuti quando venisse il bisogno. Entrò cogli altri in chiesa e vi rimase nascosto in un angolo oscuro; e mi ha detto più volte in appresso che vistomi por mano all’arme, fu per saltarmi in sulle braccia, e stava sull’ale, per non arrivar tardi; vedendo poi che m’affannavo soltanto ad aprir la cassa stette saldo, e solo a questo punto, conosciuta la necessità, mi si scoperse. Sentii le sue pedate, quando appena finivo la preghiera; mi volsi e me lo trovai vicino. Così da terra gli abbracciai le ginocchia come colui che mi dava due vite ad un punto, e come un angiolo che mi scendeva dal cielo; rizzatomi poi consideravo come senza disagio e pianamente si potesse levar di quivi la donna. Alla fine prendemmo la coltre di velluto che copriva la bara, e volta al rovescio, onde se si risentiva non s’avesse ad accorgere su qual lugubre panno si trovasse, ed accomodate le lenzuola che l’avvolgevano, in modo di farle il miglior letto possibile, con gran diligenza la sollevammo dalla cassa, e piano piano la posammo su quest’involti.
La povera Ginevra non avea aperti gli occhi, ma le usciva dal petto qualche tronco sospiro. Franciotto cercando per gli armadii, trovò per buona sorte le ampolle delle messe, e ci venne fatto, mettendole quel becco sottile fra le labbra, farle scendere qualche stilla nello stomaco a riconfortarla: poco tuttavia e solo per dare un leggiero aiuto agli spiriti, chè non avremmo voluto fosse tornata in sè in cotesto luogo. Dipoi con gran cura, io da capo e Franciotto da’ piedi, presi i lembi della coltre, l’alzammo, e senza accidente come volle la Vergine SS. la portammo fuori di chiesa, e per San Michele venimmo a Ripa, dove sono le barche. Fra queste ve n’era una di Franciotto. Non sapevamo così su due piedi trovar luogo nè migliore nè più si-