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44 | ettore fieramosca |
grande ed alla daga pistolese sia rifatto il filo, e... che volevo dirti?... Ah: L’arnese mio di Spagna è in punto? Il servo accennò di sì.
Sorridendo Inigo a questa furia disse:
— Non ti mancherà tempo a metterti in ordine; chè la battaglia non sarà nè oggi nè domani.
A questo non pensava Fieramosca che si sentiva la febbre addosso, nè avrebbe voluto tardare a trovarsi alle mani, e poco badando a quanto dicea lo Spagnuolo, veniva rintracciando altri compagni, chè cinque gli parea un numero scarso. E disse con gran voce:
— E dove lasciamo Romanello da Forlì? E sei. Lodovico Benavoli. Sette. Questi li conosci, Inigo: gli hai veduti lavorare.
— Masuccio, Masuccio!
Ed il servo che era sceso risalì di volo.
— Il mio caval da battaglia, Airone, quello che m’ha donato il sig. Prospero, abbia paglia ed orzo quanto ne vuole; e prima che entri il caldo lo farai trottare alla volta un’ora, e vedi come gli stiano i ferri.
Nel dare questi ordini si stava vestendo: il servo gli porse la cappa, e messasi l’arme accanto ed in testa un cappello con una penna azzurra, disse ad Inigo:
— Son teco. Prima d’ogni altra cosa si vuol ragionare col sig. Prospero, poi si farà motto a Consalvo pel salvocondotto.
Così avviatisi, per istrada seguiva nominando or l’uno or l’altro degli uomini d’arme che potessero fare al caso. Nè si soddisfaceva d’alcuno così alla prima: di tutti esaminava minutamente lo stato, le forze, il valore, la vita passata, onde non venissero a sì gran fatto se non uomini provati. Di Brancaleone Romano teneva gran conto sopra ogni altro,