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capitolo ii. 31

la morte di lei sparì, nè mai più si seppe nulla de’ fatti suoi. (Mais oui, je suis sûr que c’est le même ) disse vôlto ai compagni. — Ad un miglio della città quando ci siamo fermati alla fontana per aspettare i fanti, quel giovane pallido, coi capelli castagni, e non penso d’aver mai veduto un viso d’uomo più bello nè più malinconico del suo.... sì, sì, è lui sicuramente; ma il nome non me lo domandate.

Gli Spagnuoli si guardavano in viso studiando di chi volesse parlare.

— Era Italiano? — domandò uno.

— Sì; Italiano. È vero che non ha aperto bocca; ma un compagno che era sceso da cavallo, e gli porgeva da bere, gli parlò italiano.

— E le sue armi?

— Mi pare avesse una corazza liscia con una cotta di maglia; e, se non isbaglio, una penna ed una sciarpa azzurra.

Inigo il primo gridò: — Ettore Fieramosca.

— Fieramosca, appunto, — rispose La Motta, — ora mi ricordo, Fieramosca.

— Ebbene, questo Fieramosca era innamorato di Ginevra (almeno così si diceva); e molti non vedendolo più comparir dopo la morte di lei credevano si fosse ucciso.

A queste parole sorridendo gli Spagnuoli dicevan fra loro non esser oramai da stupirsi se sempre era malinconico, e se menava una vita tanto da sè, e diversa da quella de’ giovani pari suoi. Tutti però d’accordo lodavano la sua buona natura, il suo valore, la sua cortesia; dal che si poteva conoscere quanto fosse amato e tenuto in pregio da tutto l’esercito. Inigo poi, sopra tutti, che gli era amico, e come ogni animo non volgare ammirando senza gelosia le belle doti del guerriero italiano, quanto lo conosceva da più di sè, tanto maggiormente lo amava, prese la parola in sua lode, con tutto il caldo che può aver l’amicizia in un cuore spagnuolo.