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capitolo xix. | 299 |
Diego Garcia finalmente, visto che non v’era altro modo, prese partito, e gettandosi alle spalle di Sacet de Jacet che attaccato con Brancaleone pretendeva strappargli l’azza dalle mani mentre questi era in forse d’appiccargliene un colpo sul capo, ed al certo l’avrebbe fatto cascar morto, l’avvinghiò con quella sua maravigliosa forza, e lo trasse suo malgrado fuor della zuffa. Quest’esempio fu imitato da molti spettatori, e in un momento furon tutti addosso ed attorno ai combattenti, e quantunque ne riportassero qualche percossa, pure urtandosi, stracciandosi i panni, dopo molto stento e molto tirare, vennero a capo di levar di mezzo que’ cinque o sei uomini mezzo fracassati; e quantunque si dibattessero ancora e schiumasser di rabbia, pure alla fine li trassero sotto le querce cogli altri prigioni.
La prima cura di Fieramosca, finito appena il combattere, fu gettarsi da cavallo e correre a Grajano d’Asti, che giaceva immobile nel luogo ov’era caduto.
Quando Brancaleone ebbe fatto il bel colpo, il cuor generoso di Ettore non aveva pur potuto difendersi da un primo moto di gioja. Ma nato appena lo represse un sublime e virtuoso pensiero. Venne a lui, fece scansar la gente che gli stava affollata intorno, e gli s’inginocchiò accanto. Il sangue scorreva ancora dall’ampia ferita, ma lento ed aggrumato: gli sollevò il capo adagio e con tanta cura, che si sarebbe pensato avesse a salvare il suo più caro amico, e giunse a liberarlo dalla barbuta.
Ma l’azza, spaccato il cranio, era entrata nel cervello tre dita; il cavaliere era morto. Ettore con un sospiro, che sorse dal profondo del cuore, depose di nuovo a terra il capo dell’ucciso, e rizzatosi disse a’ suoi compagni che erano anch’essi venuti a vedere, e più direttamente a Brancaleone:
— Codesta tua arme, (ed additava l’azza che que-