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288 | ettore fieramosca |
fra tanto strepito, e gridò: E uno! — poi vedendosi non lontano La Motta che al colpo di Fieramosca avea perduta una staffa, seguitava: — I danari non basteranno.... sono pochi i danari.... Ed allargatasi poi la zuffa, disse al vinto: Tu sei mio prigione.... ma l’altro rimessosi in piè gli rispose d’una stoccata che strisciò sulla corazza lucente del Lodigiano: non era scorso un secondo, e già la spada di Fanfulla era caduta a due mani sull’elmo del suo nemico, il quale sgangherato dalla prima percossa a stento si resse in piedi; e Fanfulla gliene appoggiò un’altra, e un’altra, ed ogni volta gridava: Son pochi i danari.... son pochi.... son pochi.... e lo sforzo del colpo gli faceva pronunziar la parola con quella specie d’appoggiatura che udiamo uscir dal petto degli spaccalegna quando calan l’accetta.
Colui non si potè riavere mai da questa tempesta malgrado i suoi sforzi: venne a terra mezzo stordito, ma non volea perciò sentir parlar di resa; onde Fanfulla invelenito gli diede l’ultima cogliendo il tempo in cui provava a rizzarsi in ginocchio, e lo distese immobile sul sabbione dicendogli:
— Sei contento ora?
Bajardo visto che colui si sarebbe fatto ammazzare inutilmente mandò un re d’armi, il quale gettando il suo bastone fra i due guerrieri gridò ad alta voce: Martellin de Lambris prisonnier. Corsero alcuni uomini che l’ajutarono alzarsi, e sorreggendolo vennero a presentarlo al sig. Prospero.
— Dio ti benedica le mani! gridò questi al vincitore.
E diede ai suoi sergenti in guardia il barone francese che non volle lasciarsi toglier la barbuta, si gettò a giacere al piede d’una quercia e vi rimase muto ed immobile.
Fanfulla aveva voltato il cavallo, e messolo di mezzo