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284 | ettore fieramosca |
I due padrini intanto s’eran ritirati ai loro posti; Bajardo presso i giudici, ed il Colonna sotto le querce. Questi tutto armato fuorchè il capo, su un gran cavallo nero coperto di una gualdrappa vermiglia ricamata in oro, alzava la fronte grave ed ardita verso i suoi aspettando in silenzio la tromba. Aveva accanto un suo paggio, bel giovane di sedici anni, vestito di cilestro, colle calze color di carmino, e varj caposquadra dell’esercito in diverse attitudini che, malgrado la loro immobilità, mostravano non so che d’energico e di marziale. A misura che s’avvicinava il momento venivano a tutti mancando le parole; al più s’udiva qualche monosillabo bisbigliato sommessamente fra vicini, ed in questa quiete che dava all’adunanza un aspetto grave e solenne risonava solo di tempo in tempo lo scalpitare ed il nitrir de’ cavalli, che tenuti in riposo e ben pasciuti, non potevan ora star fissi nell’ordinanza, rodevano i lunghi freni dorati, li coprivan di spuma, facendo arco del collo e della coda, e rizzandosi sui piè di dietro, sbuffavano colle nari tese e sanguigne, e parevan dagli occhi gettar faville.
È difficile ai giorni nostri formarsi un’idea dell’aspetto marziale d’un uomo d’arme di quel tempo coperto tutto di ferro esso e ’l cavallo. Ogni cavaliere colla visiera abbassata chiuso nell’arnese, collo scudo al petto e la lancia alla coscia, inforcava una sella, i cui arcioni ferrati s’alzavano avanti e dietro come due ripari che rendevano quasi impossibile il cadere; incastrato così, stringendo le ginocchia, era talmente aderente al cavallo, che tutti i suoi moti gli si comunicavano con quell’unità che dovrebbe legare le due nature del centauro.
I cavalli avean le parti anteriori e laterali del capo difese da un guernimento di ferro, nel quale eran soltanto due buchi per gli occhi; in mezzo alla fronte