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capitolo xix. | 281 |
ne a porsi in battaglia nella parte superiore del campo, volgendo la fronte al mare. Scavalcati i guerrieri ed un centinajo e mezzo di compagni ed amici che eran con loro, lasciaron ai famigli i cavalli, e, saliti al luogo dei giudici, si dispersero sotto i lecci aspettando l’arrivo degli Italiani. Sulla strada di Barletta un nuvolo di polvere, fra il quale si potè presto distinguere il lampeggiar dell’armi, mostrò che non eran per farsi troppo aspettare. Le turbe sin allora disperse si strinsero ai confini della lizza, studiando ognuno di cacciarsi avanti, malgrado che i fanti di guardia, con que’ modi amorevoli che in ogni tempo ha sempre usato la soldatesca in simili occasioni, battendo sul suolo, e talvolta sulle punte dei piedi i calci delle ronche e delle picche, ricacciassero indietro l’onda che tentava di sopraffarli.
Giunsero gl’Italiani, si fermarono in faccia ai loro avversarj nell’ordinanza medesima, e scavalcati, salirono anch’essi sul rialzo degli elci.
Dopo i saluti e le cortesie scambievoli, il signor Prospero e Bajardo, che erano i due padrini, s’abboccarono e decisero che prima di tutto conveniva trarre a sorte i giudici.
Il lettore si maraviglierà, son certo, di non trovar il famoso Bajardo fra i combattenti in così importante occasione, e vederlo invece adempiere le parti di padrino: gli dirò dunque che non ne abbiam provata minor maraviglia di lui, nè sapremmo formar su questo fatto altra congettura, se non supporre che qualche ferita non interamente sanata gl’impedisse di trattar l’armi, o che forse la quartana che lo travagliava in quel tempo troppo gli scemasse le forze; a ogni modo sappiamo certissimo che egli non era fra i campioni.
Scritti dunque i nomi di alcuni caporali de’ due eserciti spagnuoli, francesi ed italiani in egual nu-