Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
280 | ettore fieramosca |
e colore agli oggetti, e si duplicava oscillando riflessa nel mare.
Una squadra di fanti venuta quivi per tempo teneva sgombro il campo dal popolo, che stava disperso in gruppi tutt’all’intorno, radunandosi più frequente nei luoghi ove molti venditori di comestibili e di vino avean tese le loro tende, ed alzati banchi e tavole. V’era fra questi l’oste del Sole, Veleno, che il lettore ben conosce, e che in uno dei luoghi più in vista aveva piantato il suo negozio ambulante sotto una frascata, alla quale già eran concorsi molti de’ soldati suoi soliti avventori: due o tre gran padelle da friggere eran al fuoco su altrettanti fornelli di ferro portatili; una tavola composta d’asse rosse, e connesse alla meglio su vari pali, che fitti nel suolo servivano di gambe, era coperta di canestroni di pesce, carciofi, ortaglie d’ogni genere da friggere. Egli, con due grembiuli e la berretta di bucato, colle maniche della camicia rimboccate sino alla spalla, teneva sotto il braccio la pentola da infarinare, in una mano il piatto col fritto ancor crudo, nell’altra le mollette per prenderlo, e s’affaccendeva a preparar questo cibo tanto gradito agli Italiani meridionali, senza restar mai un momento dal cicalare, ridere, domandare e rispondere a tutti in una volta, e soltanto interrompeva a quando a quando questi dialoghi, o per cantar la bella Franceschina, o per gridar quanto n’avea nella canna: Ah che alici! Ah che alici! Son vive le trigliarelle! O non avete occhi, o non avete danari! ed altre simili inculcazioni che s’udivano da mezzo miglio lontano.
Alla fine un mormorar più forte della folla, che occupa i luoghi superiori, fece volgere a tutti il viso verso quella parte, e passando di bocca in bocca, giunse la nuova che già si scorgeva il drappello francese. Pochi minuti dopo compariva alla voltata d’una strada, che usciva di dietro una collina; ed avanzandosi, ven-