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capitolo xix. 279

dosi all’estremità del campo, volgesse le spalle all’interno delle terre ed il viso alla marina) il vedere una così ricca scena campestre ravvivata da tal moltitudine piena di tanto moto e di tanta vita; a destra elevarsi sul cielo le grandiose masse degli elci, ed al color cupo delle lor foglie mischiarsi il verde più vivace e gajo d’arboscelli minori; su un piano più lontano dietro questi, la terra di Quarato della quale si copriva soltanto la porta difesa da una torre addossata a rupi, al cui piede serpeggia la strada, in mezzo il campo, ed al di là il lido dell’Adriatico, la città e il castello di Barletta, e le forme colorite degli edifizi spiccate sulla tinta azzurra del mare; più lontano il ponte e l’isola di S. Orsola, gli alti gioghi del Gargano, e la linea dell’orizzonte; a manca poi le colline che a poco a poco si vengono alzando; e rimpetto al luogo destinato ai giudici, sovra un terreno disuguale vestito d’erba fresca, gruppi di altissime querce coi tronchi rivestiti d’edera, e nel pieno vigore, nella ricca vegetazione. La nebbia formatasi nella notte, squarciandosi alla brezza dell’aurora veleggiava delle regioni superiori dell’aria in nuvole di forme fantastiche, che già percosse dal sole ne rifrangevano i raggi indorati. Altre strisce di nebbia più densa restavano leggermente posate sulla pianura somigliando a letti di cotone bianchissimo, sovra i quali sorgevano qua e là gruppi d’alberi più alti, e le creste di qualche collinetta. Il desco del sole vicino ad uscir dal mare spandeva in cielo la sua luce rancia, lasciando muti gli oggetti terrestri, illuminati soltanto dal riflesso dell’atmosfera. Tutti gli spettatori avean come involontariamente gli occhi volti verso il punto dove stava per comparire. Sull’ultima linea del mare parve alla fine quasi generata una scintilla di luce vivissima; crebbe, prese forma, uscì il sole maestoso come un globo di fuoco, e diffuse la sua luce, che diede forma