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276 | ettore fieramosca |
mattina prima dell’avemaria, intanto che m’alzavo per iscender in chiesa: Ohe Rosso, dice: Sai che mi son sognata? Dico: Che ti sei sognato? Dice: Mi pareva che la cucina dell’osteria di Veleno fosse piena di letti, e l’oste giallo giallo per il primo, e in somma, dice, era tornata la peste, e c’eravamo rifatti, e tu andavi per Barletta vestito come un cavaliere.... In somma, dite voi fra Biagio, tra la guerra e la peste siamo lì?... E può essere che prima di stassera (e qui di nuovo abbassò la voce, e, vedendo che dalla chiesa nessuno gli badava, accennò col pollice sulla spalla verso i tredici giovani) può esser in somma che qualcuno torni a casa sul quattropiedi....
Il frate, o per isbadataggine o per mantenere i dritti della gerarchia, non si curò di rispondere, onde finì il dialogo: Il becchino, quand’ebbe messo in ordine ogni cosa, scomparve: e la bara rimase in mezzo alla sagrestia. Non venne in mente a Fieramosca, e se gliene fosse balenato un qualche sospetto l’avrebbe cacciato come una pazzia, per chi dovesse servire; non ostante non ne potè staccar gli occhi durante il rimanente della messa. I suoi pensieri si fermarono naturalmente sull’idea che quel giorno poteva esser l’ultimo della sua vita, e volse con più fervore lo spirito a Dio domandando di nuovo il perdono delle sue colpe. Riandava colla mente tutto il tempo trascorso da quando avea tolta Ginevra di S. Cecilia; e gli pareva non aver rimorso d’altro fuorchè del non averle palesato che Grajano era vivo. Di questo però come d’ogni altro fallo se n’era confessato la sera innanzi. Gli parve d’esser tranquillo, e di poter franco incontrar la morte. Terminò la messa, uscirono i tredici, seguitando Prospero Colonna, e vennero a casa sua ove si posero a tavola per non andar digiuni a combattere.
Fra gli altri patti fermati d’accordo dalle due parti italiana e francese, v’era quello: che ogni uomo d’ar-