Milano, s’adattava così bene alle belle membra del cavaliere, ed era nelle giunture tanto maestrevolmente connessa, che seguiva i contorni del corpo senza alterarne la grazia in nessuna parte, lasciandolo nel tempo stesso interamente libero e sciolto in tutti i suoi moti. Finito d’armarsi, ed appeso alla sinistra la spada, ed alla destra la daga, scesero uniti e facendosi portar dietro dai famigli lancia, elmo e scudo, e condurre a mano i cavalli, vennero a S. Domenico, ove in pochi minuti insieme con molto popolo si trovaron radunati i tredici campioni e Prospero Colonna.
La chiesa era un quadrilungo a tre navate separate da colonne ed archi a sest’acuto, d’assai rozza maniera, e verso l’altar maggiore due sfondi ai lati formavano una croce col corpo principale dell’edifizio; il coro de’ frati, secondo l’uso antico, avanti l’altare era di legno, divisi gli stalli de’ religiosi da molti ornati in rilievo, ai quali il tempo avea data una tinta lucida e bruna: nel mezzo era posto un banco capace di tredici persone, ove stavano gli uomini d’arme italiani. La luce del giorno andava crescendo, ma non era ancora abbastanza chiara per poter passare attraverso delle invetriate dipinte che chiudevano gli stretti finestroni, onde tutto l’interno della chiesa rimaneva quasi nell’oscurità, e il lume rossiccio delle poche candele dell’altare si ripercoteva soltanto un po’ vibrato sulle corazze de’ guerrieri; lasciando tutte le altre figure quasi invisibili. Prospero Colonna armato anch’esso stava un po’ innanzi agli altri, ed aveva a’ piedi per inginocchiarsi un ricco cuscino di velluto rosso colla colonna ricamata in argento, recatogli da due paggi che si tenean ritti pochi passi dietro di lui. Uscì la messa; Fra Mariano la diceva, ed i cuori di quelli fra gli spettatori, che eran capaci di sensi generosi ed alti, forse non rimasero indifferenti alla vista di que’ valorosi ed arditi giovani che atterravan innanzi al