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270 | ettore fieramosca |
fu spento mai tutta la notte; avrebbe dato il sangue per non veder più quel lume, e volgeva gli occhi altrove dicendo: Sono pur pazzo a tormentarmi con tali fantasie; poi non poteva a meno di non rivolgervi gli occhi e quel lume era sempre là.
Con quella specie di malafede che spesso adopera l’uomo con sè medesimo, quando è vessato da un dubbio importuno, si diede a volersi persuadere ciò che nell’intimo del cuore non credeva affatto, cioè che Ginevra era in buono stato, che non le era accaduto nulla di sinistro, e che tutto il mistero, che pure scorgeva in questa faccenda, era un’idea sua, una vana immaginazione. E se, per ingannar sè medesimo, durava questa fatica, lo faceva conoscendo che a voler volger tutti i pensieri e tutte le virtù dell’anima alla battaglia, gli era indispensabile il rendersi, se non certo, almeno molto probabile, ciò che il raziocinio gli mostrava esser pura illusione.
— Oh sì, sì, diceva scotendo il capo, e passandosi la mano sulla fronte e sui capelli, come per dissipare i pensieri che v’erano aggruppati, badiamo a farci onore prima di tutto.... e forse domani a quest’ora avrò già potuto dirle: Ginevra, abbiam vinto... poi fermatosi un momento a pensare: oppure m’avrà già veduto entrar in Barletta sulla bara, ed avrà detto: Povero Ettore, hai fatto quel che hai potuto... E se ciò accadesse? sarei morto da uomo dabbene, ed essa piangerebbe la mia morte; ma non mi vorrebbe vivo a patto d’una viltà; anzi andrebbe superba di poter dire: Eravamo amici sin da fanciulli.... Sì.... ma intanto rimarrà qui sola, senz’un aiuto; neppur sa che suo marito è al campo francese; e se anche lo sapesse, come presentarsi a lui dopo tanto tempo?
Ettore aveva formato e parte eseguito il disegno di raccomandarla a Brancaleone; ma riflettendo che anch’esso poteva venir ucciso con lui si risolvette di scriver