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268 | ettore fieramosca |
resto uomo per uomo, non temiamo nè loro nè il mondo. Addio, Brancaleone; so che vuol dire, seguiva sorridendo, non aver paura, fin a domani a sera non penso che a quel che s’ha da fare, e ti giuro che mi bolle il sangue ora più che il giorno in cui fu data la disfida, e spero di non far vergogna nè all’Italia nè a voi.
— Di questo son più che certo, rispose Brancaleone. A domani.
— A domani, replicò Fieramosca stringendogli la mano, e si lasciarono.
Prima di salire in camera volle Fieramosca dar un’occhiata alla stalla, ed entratovi si pose ad accarezzare il suo buon cavallo di battaglia, con quell’affetto, e quasi potrei dire amicizia che prova ogni soldato per il compagno delle sue fatiche e de’ suoi pericoli. Gli passava la mano sul collo e sulle spalle battendolo leggermente, ed il cavallo, abbassate indietro le orecchie, scoteva il capo, e scherzando faceva l’atto di mordere il suo padrone.
— Povero Arione mio, mangia e fa buona cera fin che puoi, che non sei sicuro di dormir domani sera su questa lettiera.... A tutt’altro fatto condurrei Boccanera, e non arrischierei la tua pelle; ma domani ho proprio bisogno d’averti sotto, che non mi metterai un piede in fallo, son certo. E poi, seguitò sorridendo e prendendogli il muso fra le mani: Sei Italiano anche tu, anche tu devi portar la croce.
Visto poi che tutto era in ordine, — Masuccio, disse volgendosi al suo scudiere, alle quattro lo farai bere, e poi orzo quanto glien’entra in corpo: alle cinque mi verrai ad armare.
Dati questi ordini salì, e dopo pochi minuti avea spento il lume, e si trovava in letto col fermo proposito di riposarsi e dormire. Sulle prime gli parve di poter prender sonno, ma poi cominciò un pensiero,