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266 | ettore fieramosca |
— Andiamo; sì, andiamo, riprese Fieramosca mezzo in collera; non son cavallo da tante spronate: ti domandavo di vederla un momento, casca il mondo per questo?
— Non casca il mondo.... ma non capisci che son tutti là da un’ora a far la mostra, e tu solo manchi.... che cos’hanno a pensare?
— Orsù dunque, disse Fieramosca affrettando il passo (che tutto questo dialogo l’avea fatto camminando lentamente volendo l’uno andar verso la rôcca, l’altro tirarlo verso la casa di Colonna), andiamo, che non hai torto.... il dovere e l’onore prima di tutto.
E mentre camminavano frettolosi, gli domandava Brancaleone:
— E dunque, a proposito, come ti senti? e la ferita?...
— Oh! non è nulla.... ma ti dirò poi... chè ora manca il tempo... quante diavolerie! e quella povera Zoraide! non m’ha voluto chiarir di nulla, ma ho capito bene... al male che mi sentivo.... il pugnale doveva esser avvelenato..... e non vorrei che m’avesse succhiata la ferita.... e ci avesse a rimetter la salute, forse la vita.... e pur troppo, temo che appunto la sia andata così. Ma ero tanto fuori di me che non posso distinguere se ciò sia una memoria od un sogno che abbia fatto.
— Ma insomma ti senti bene....
— Come non avessi mai avuto male.
Ed in così dire eran entrati nel cortile e si presentavano a Prospero Colonna, che, dopo qualche breve parola sul tardare di Fieramosca, seguitò la bisogna alla quale era occupato.
La diligenza minutissima, che pose a questa rivista, la fece durare alcune ore. I cavalli furono provati, provati gli arnesi a colpi di lancia, d’azza e di spada. Del taglio dell’armi offensive ne fu fatta esperienza