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capitolo xviii. | 263 |
po seguitati da tutti quelli che si trovaron liberi d’accompagnarli, onde pochissima gente v’era rimasta. Salì le scale senza trovar a chi domandare; venne sino all’uscio ove la sera prima aveva lasciata Ginevra, e bussò. Fra Mariano, che v’avea passata la notte, gli aperse, e venuti in una camera vicina, narrò a Brancaleone l’accaduto.
Tanto più rimase questi afflitto e travagliato dalla trista nuova, quanto che vedeva cadere una tanta sventura sul suo amico, nel momento in cui era meno preparato a sopportarla, e quando per l’imminente battaglia avea bisogno di tutte le sue forze: temeva che, accasciato sotto il peso del dolore, si mostrasse inferiore a se stesso in una prova tanto ardua ed importante. Pensato perciò al rimedio, stabilì col frate di celar questa morte per tutto quel giorno, e l’indomani soltanto assumesse quegli il carico di far portar la defunta al monastero, com’era stato suo volere, mentre Ettore fosse occupato a combattere co’ suoi compagni. Credettero non difficile serbar il segreto per questo giorno in cui la rôcca era quasi deserta, e stimarono di dirlo soltanto a Consalvo, onde accordasse gli ajuti che sarebbero occorsi per far il trasporto del corpo ed i funerali con un poco d’onore.
Per quel che spettava a Fieramosca, al quale bisognava pur dare qualche spiegazione, concertarono che Brancaleone gli dicesse: Ginevra sta bene, non poterlo vedere per quel giorno, e che soltanto gli faceva sapere si ricordasse dell’onore italiano, combattesse con quella virtù che meritava una tanta cagione, e ch’essa pregherebbe per lui, e pe’ suoi compagni; le quali cose si potevan dir tutte senza bugia, ed erano tali da riconfortarlo, e farlo andar franco alla battaglia.
Dato sesto così a questa faccenda importantissima, scese Brancaleone in piazza, e venuto alla casa de’ fratelli Colonna, li trovò ambedue nel cortile che,