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capitolo xviii. | 261 |
ne si mostrò in tutta la sua luce la nobil natura di D. Garcia. Egli che in campo aveva anche con aspre parole rimproverato ai compagni che lasciassero la cosa imperfetta, ora alla presenza di Consalvo prese arditamente a difenderli, dicendo aver essi fatto il potere da uomini dabbene quali erano, e condotta a fine la loro impresa, che era far confessare ai Francesi valer essi al par di loro nella battaglia a cavallo. Ma Consalvo male accettando queste scuse, e, troncate le parole col rispondere1 Por mejores os embiè yo al campo, li licenziò.
Ripigliando ora il filo di ciò che accadde la sera innanzi a Brancaleone dopo lasciato Inigo per tornar presso Fieramosca.
Quando approdò all’isola di S. Orsola, la premura di giugnervi presto che aveva provato nel tragitto, si calmò riflettendo al modo col quale doveva annunziare ad Ettore i casi di Ginevra, e lo stato in cui l’aveva lasciata. Salì lentamente la scala che conduceva sulla spianata del convento, e, ricomposte l’idee, si avviò alla foresteria. Ma il discorso che aveva preparato si trovò inutile. Entrando nella camera vide Zoraide seduta al capezzale che col dito gli accennò di non far rumore, e Ettore che dormiva profondamente. Si ritirò indietro pian piano mentre la giovane alzatasi e rimasta un momento a guardar Fieramosca, visto che riposava tranquillo, uscì in punta di piedi, e seguì Brancaleone in una delle camere vicine.
— Tutto va bene, disse Zoraide: domani Ettore sarà come se non avesse avuto male. Ma e Ginevra, dov’è? ne avete trovata la traccia?
A Brancaleone tornò il fiato in corpo sentendo le nuove di Fieramosca, e rispose:
— Ginevra è nella rôcca in buone mani, e presto
- ↑ Come migliori vi mandai al campo.