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capitolo xvii. | 257 |
giornata, in cui si trovava avere ospiti suoi i baroni francesi, gli erano state recate lettere che gli annunziavano vicino l’arrivo delle navi cariche di uomini; le quali, superata già la punta di Reggio, poco potevan tardare a comparire avanti a Barletta. Conoscendo perciò che non gli tornava il trarre le cose più in lungo, e che non avrebbe bisognato lasciar cader l’animo che veniva ad accrescersi fra suoi per l’arrivo de’ nuovi soldati, fece in modo, parlando di questi scontri, col duca di Nemours e cogli altri Francesi, di persuaderli a prendere il giorno più vicino che si potesse. Così fu deciso che gli Spagnuoli combattessero l’indomani del ballo, in uno spazio lungo il mare, mezzo miglio fuor della porta che va a Bari, e gli Italiani il terzo giorno, in un luogo che già da Brancaleone e da Prospero Colonna era stato veduto e stimato a proposito, ed era posto presso la terra di Quarato, a mezza strada fra Barletta ed il campo francese.
I cavalieri delle due parti, avvisati dai loro capi di quanto era stato deciso, pensarono tosto ai fatti loro: i Francesi, quelli che dovevano combattere, lasciato il ballo, tornarono al campo prima degli altri per aver tempo di dar ordine a quanto occorreva per la battaglia, e gli Spagnuoli del pari, tornati ognuno al suo alloggiamento, attesero ad allestirsi, e fare in modo d’aver qualche ora di riposo prima della mattina. Ad Inigo ed a Brancaleone fu data la nuova quando, già allogata Ginevra nella camera d’onde non dovea uscir viva, erano andati pel frate; ed il primo, che era del numero de’ combattenti, per dar ordine alle cose sue, dovette lasciar al compagno il spensiero di ritrovar Fieramosca ed ajutarlo in questi suoi casi. Si strinsero la mano lasciandosi, e dicendo Inigo:
— Come potrà combattere domani l’altro, se stassera non poteva reggersi in piedi?
Ettore. | 17 |