Pagina:D'Azeglio - Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta, 1856.djvu/258


capitolo xvii. 255


Comunque sia dobbiam dire che crediamo questi sentimenti non fossero estinti interamente, e ne nascesse la breve dubitazione che produsse quel momento di silenzio.

Pure alla fine disse risolutamente, e con voce chiara e spiccata:

— Ditemi dunque, e perdonatemi se ardisco domandarvi tanto. Non eravate voi stassera sulla loggia che guarda la marina, circa le tre ore, e non era a vostri piedi Ettore Fieramosca?

Quest’interrogazione egualmente inaspettata e diretta, scosse le due giovani quantunque per diverse cagioni; il viso di D. Elvira divenne color di brace; ella rimase senza poter profferir sillaba. Ginevra che la guardava fissa in viso capì tutto, si sentì agghiacciare il sangue, e riprese con voce mutata:

— Signora! son troppo ardita, lo conosco, ma vedete, io muojo, e vi domando, pel perdono che tutti speriamo nell’altra vita, di non negarmi questa grazia; rispondetemi: eravate voi.....? era esso....?

D. Elvira credeva di sognare; volgeva lo sguardo timido a Vittoria, la quale leggendole negli occhi che temeva la sua severità, e conoscendo non esser quello il momento di mostrarla, l’abbracciò, e senza profferir parole la rassicurava.

Ginevra si sentiva morire nell’incertezza: stese le palme aperte e tremanti alla donzella, e con voce che potè dirsi grido disperato, replicò:

— Ebbene, dunque?...

D. Elvira si strinse atterrita alla sua amica, abbassò gli occhi e rispose:

— Sì.... eravam noi....

Il viso dell’infelicissima Ginevra fece una mutazione come se si fosse dimagrato tutto in un tratto; pure a stento si sollevò a sedere sul letto, prese per