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254 | ettore fieramosca |
quanto ora appariva in quel disordine che lasciava ondeggiar liberi sul collo e sulle spalle i suoi lunghissimi capelli d’oro; fra Mariano abbassò gli occhi, e la povera Ginevra nel mirarla sentì un fremito interno e diede un sospiro, al quale il buon frate non potè negar compassione. Rimasero così le tre donne mute alcuni minuti, dopo i quali, alzandosi Ginevra sul gomito, disse:
— Signora! voi stupirete ch’io sia tanto ardita di disturbarvi, non conoscendovi, nè essendo conosciuta da voi; ma a chi si trova a questo passo si perdona tutto. Prima però di parlarvi più aperto debbo domandarvene licenza: posso dirvi due parole con libertà? Qualunque sia la vostra risposta, essa sarà chiusa fra poco nell’avello con me; ma posso parlare presente questa signora, o volete che siam sole?
— Oh! disse D. Elvira, questa è la più cara amica ch’io m’abbia, ed essa m’ama più assai che non merito, onde dite pur su, cara mia signora, che son qui per ascoltarvi.
— Quand’è così, e giacchè me ne date licenza, ecco la sola interrogazione che vorrei farvi.
Ma a questo punto, come per prender vigore e preparar la frase che non sapeva come incominciare, si fermò un momento. Il proposito di perdonar a quella che le era cagione di così disperato dolore era stato fermato con tutta la sincerità del cuore; ma chi vorrebbe esser tanto severo da far un delitto all’infelice se al momento di divenir certissima che i suoi occhi non l’aveano ingannata e che il giovane veduto a piedi di D. Elvira era Ettore veramente, si sentisse una ripugnanza invincibile ad acquistar questa certezza? Chi avrebbe cuore di condannarla se nutrisse ancora un’indefinita speranza d’aver preso scambio, e di sapere che Ettore era ancora quello di una volta?