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capitolo xvii. 251

trovate mio marito (fra soldati è chiamato Grajano d’Asti, ed è al soldo del duca di Nemours) e ditegli che alla mia ultim’ora ho domandato perdono a Dio come lo domando a lui se l’ho offeso: ditegli che pel passo in cui mi trovo, gli giuro che l’anima mia uscendo di questa vita, è pura com’era quando mi ricevette da mio padre: che non maledica la mia memoria, e faccia dir una messa in suffragio dell’anima mia.

— Siate benedetta!... State quieta, il vostro desiderio sarà adempiuto.

— Un’altra grazia vorrei chiedervi, seguitò Ginevra.... Non so se sia bene o male.... ma Dio, che vede il mio interno, sa se parlo a buon fine.... Vorrei che cercaste anche di lui.... d’Ettore Fieramosca, voglio dire, che è lancia del signor Prospero.... ditegli che pregherò per lui, e che gli perdono.... cioè.... no, non gli parlate di perdono.... alla fine non son poi certissima.... potrebbe esser stato un altro che gli somigliasse.... No, no, ditegli soltanto che pensi all’anima.... che conosco adesso in quanto errore eravamo.... si ricordi dell’altra vita, che questa passa come un fumo, e glielo dice chi n’è alla prova, e gli vuol.... e pensa al suo vero bene. Ditegli poi che se Dio, come spero, m’accoglie nella sua misericordia, pregherò per lui, onde vinca la sfida, e sia difeso l’onor dell’armi italiane.

Fra Mariano diede un sospiro e disse: — Anche questo farò.

La moribonda stette alquanto in silenzio, e le corse alla mente Zoraide, la sua protetta, colla quale in quegli ultimi giorni aveva pur avuto qualche rancore; supplicò il frate che cercasse di lei nel monastero di S. Orsola, e le recasse cogli ultimi saluti un suo monile, pregandola a portarlo per amor suo: raccomandò a lui quella povera derelitta, le trovasse egli