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250 | ettore fieramosca |
mento che la mano di Dio adopra per la vostra salute. Anch’io son peccatore, lo fui, fui tanto sciagurato e cieco da cercar nelle creature la pace del cuore. Dio mi chiamò; seguii la sua voce nell’amarezza da prima; ma poi, qual ricco compenso non m’ha accordato la divina bontà pel piccolo sacrificio? Qual tranquilla allegrezza di amare ed esser certi d’un contraccambio eterno ed immenso? Oh! credete a me, anima benedetta! che son uomo peccatore più di voi, e ne sono stato alla prova, tutto è fiele, incertezza e tenebre, fuorchè amar Dio, servirlo, e sperare nelle sue misericordie.
— Oh sì, disse Ginevra interrompendolo, e dando in un pianto dirotto; m’avete aperta la mente e m’avete vinta: sì, perdono, e perdono con tutta l’anima, e ne darò prova. Venga colei; che la veda prima di morire, e l’abbracci; e vivano felici insieme, come spero che Dio avrà pietà di me nella vita avvenire.
Cadde ginocchioni il frate accanto al lettuccio, ed alzando al cielo gli occhi e le mani disse: — Variis et miris nobis vocat nos Deus! Adoriamo l’opera della sua misericordia.
E rimasto così un momento orando, s’alzò, benedisse ed assolse la giovane; poi riprese:
— Dunque, veramente siete risolta a veder colei, e far quest’opera di paradiso?
— Sì, padre; fate che venga; sento che ho bisogno di morir perdonando.
— E Dio, ve lo dico in suo nome, già vi ha perdonato; già siete sua; questo santo proposito è il segno della vostra salute.
S’avviava il frate per cercar di D. Elvira. Ginevra lo richiamò.
— Una grazia, disse, mi resta a domandarvi, e non dovete negarmela se volete che muoja in pace.
Quando non ci sarò più, andate al campo francese,