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238 | ettore fieramosca |
perduta ogni forza. Si rimise seduto nel luogo ov’era prima, ordinando la seconda volta con voce tronca si gettasse a mare il cadavere. E volta la testa dall’altra parte conobbe che era stato tosto ubbidito, dal tonfo che udì nell’acqua, e dagli spruzzi che vennero nel battello: ristretta in pugno la catena, scagliolla lontano, e serratosi nel mantello, appoggiato il capo su una mano, ammutolì.
D. Michele, fingendo rispetto pei pensieri che occupavano il duca, si scostò sedendo fra gli uomini che conducevan la barca, e tutti in silenzio vogarono, nè s’udì più per tutto il viaggio che il leggero strepito dell’acqua che stillava da’ remi, quando eran alzati sul mare. Lo sgherro del Valentino ebbe una vendetta che nessuno al mondo aveva ottenuto forse mai da quell’uomo; riuscì a ridestargli nel cuore memorie che gli fecero provare certo che di simile al rimorso; a quel rimorso che spogliato d’ogni conforto somiglia alla disperazione dell’inferno. Fu gran vanto per D. Michele, che ne seppe conoscere ed assaporare il pregio. Dopo questi accidenti seguitando il loro viaggio giunsero al legno che li aspettava, e che fece tosto vela der ritornare in Romagna. Ma non terrem dietro altrimenti a questi ribaldi.