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capitolo xvi. | 237 |
biata, pensando valersi dell’ugne e dei denti per isbranarlo; ma il duca che era in sospetto si trovò pronto a riceverlo, e D. Michele aveva appena avuto tempo d’afferrar Pietraccio per le spalle, che già gli cadeva morto di mano, trafitto dal pugnaletto che portava il duca alla cintura, e che aveva saputo in quel momento usare con incredibil prestezza.
La cosa era succeduta in modo tanto istantaneo che i remiganti si volsero al rumore quando già tutto era finito, e, rimasti così sospesi, videro il Valentino che, rimettendo la daghetta nel fodero e spingendo col piede il cadavere ancor palpitante, ordinava che fosse buttato in mare.
— Pazzo, ribaldo!, esclamava D. Michele mostrandosi affannato pel pericolo corso dal duca: eppure nessuno mi leverà dal capo non fosse costui altr’uomo da quel che mostrava.... Lo trovai son pochi giorni nel fondo della torre qui del monastero, rinchiusovi con sua madre, ed eran stati presi ambedue dalla corte con una masnada d’assassini; la madre rimase morta per certe ferite che aveva toccate nel difendersi e, prima di render lo spirito, diede al figlio una collana dicendogli non so che novella.... ora sì mi ricordo.... dicendogli che l’avea avuta da un suo innamorato a Pisa.... Eppure.... aspetta, Rosso, prima di buttarlo a mare voglio vedere se ancora l’ha al collo. L’oro, se non altro, è meglio non vada in bocca ai pesci.
In così dire sfibbiato il giubbone davanti al giovane trovò la catena, e recatasela in mano la faceva vedere al duca che si mostrava tutto attento alle sue parole.
Non potè il Valentino esser tanto uguale a sè stesso da dissimulare l’improvviso turbamento che gli cagionò quella vista. Rimase un momento sopra di sè; e le mani, che unite reggevano la gemma pendente dalla collana, gli caddero sulle cosce come avessero