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234 | ettore fieramosca |
memoria d’avermi usata mercede non vi sia balsamo al cuore? — Voler dir l’ansia, l’angoscia, la disperazione dell’infelicissima Ginevra nel vedersi a questo terribil passo, voler descrivere le sue lagrime, le preghiere, ed in ultimo le furibonde grida, e le dementi imprecazioni, sarebbe impossibile, ed offriremmo ai nostri lettori un quadro troppo straziante. Diremo soltanto che la sua sorte era fissata ed irrevocabile.
D. Michele intanto che tornava co’ suoi compagni malcontento e colle mani vuote, tremando dello sdegno del suo signore, giunse a piè del castello, e vedendo fermi alla porta del duca i due battelli di Ginevra e del messo, si mise in sospetto: sceso a terra s’accostò all’uscio e, sentendo rumore di dentro, dubitò di qualche sinistro accidente, spinse la porta, la trovò chiusa, e non si sarebbe rassicurato, se la voce di Cesare Borgia, che gli gridò aspetta, non gli avesse mostrato ch’ei non correva alcun pericolo. Mise l’orecchio al fesso dell’uscio non potendo immaginare qual fosse la cagione per la quale non gli veniva aperto.
Dopo alcuni minuti durante i quali regnò il più alto silenzio, e si sentiva soltanto su in alto rimbombar l’aria di suoni e di grida lontane, e il gorgoglìo dell’onda alla riva che faceva leggermente percuotere i battelli l’un contra l’altro, D. Michele, che origliava tutto attento, udì ad un tratto la voce del duca che disse con uno scroscio di risa:
— Or va, prega Dio e i Santi.... e il rumore de’ suoi passi che s’accostava alla porta, onde egli se ne ritrasse al punto che il duca, voltata la chiave, uscì fuori.
D. Michele volle cominciare a scusarsi, ma venne interrotto. — Mi dirai ciò un’altra volta; di questo fatto per ora ne so più di te assai. — Queste parole avrebbero