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232 | ettore fieramosca |
Dunque era vero, e son tradita da te!... e portando sugli occhi e sulla fronte le palme delle mani stette così alcuni minuti: al Valentino, udito quel nome, si contrassero leggermente le labbra con un sorriso rabbioso.
Ginevra si ricordò allora soltanto che doveva esser nel suo battello, ed alzandosi sul gomito per tentar di rizzarsi, sentì il morbido del letto, aprì gli occhi spaventata, vide il duca, e gettò un grido che la mano di lui le troncò nelle fauci afferrandola alla gola e respingendola a giacere.
— Non gridare, Ginevra, le disse il Valentino, sprecheresti il fiato; ho caro assai che mi sia venuta a trovare, e ti ristorerò del disagio di un viaggio a quest’ora.... Tu però non cercavi di me. Non è egli vero? Che vuoi? tutte le palle non riescon tonde.
La povera Ginevra ascoltava queste parole con un tremito che le toglieva la forza; da molto tempo non avendo veduto il duca, non lo riconosceva, e soltanto provava orrore alla sua vista trovando pure in sè una confusa reminiscenza di quella fisonomia. Conoscendo di non poter far difesa, disse soltanto: Signore!... chi siete? abbiate pietà di me... che cosa volete?... lasciatemi... Ed il duca:
— Ti ricordi, Ginevra, in Roma, in qual modo ti governasti, son già molt’anni, con un tale che t’amava allora quanto gli occhi suoi e t’avrebbe fatto tali doni e tali carezze da farti maravigliare? Ti ricordi che usasti seco modi che sarebbero stati sconci ad un ragazzo di stalla? Ti ricordi che ti ridesti del suo amore, che tenesti a vile le sue proferte, che ti vestisti seco d’una superbia che sarebbe stata troppa ad una regina? Ebbene, sai chi era quel tale? Quel tale son io. E sai chi son io? Cesare Borgia.
Questo nome cadde come una massa di piombo sul cuore di Ginevra a soffocarvi ogni speranza: stava