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capitolo xvi. 223

gli pervenivano pure di giorno in giorno dalla Romagna messi che spediti di colà da’ suoi più fidati gli portavan lettere, carte, avvisi sugli affari correnti; giugnevano e ripartivano la notte, verificando in ogni cosa l’asserzione di Niccolò Machiavelli che, scrivendo al Comune di Firenze poco prima di quest’epoca, diceva: Di quante Corti sono al mondo, quella ove più si serba il segreto è la Corte del duca. E benchè non aggiungesse chiaramente il perchè, lasciava intendere che alle lingue imprudenti veniva imposto il silenzio dell’avello.

Questa corrispondenza si manteneva per mezzo di legni leggieri che, navigando terra terra da Rom, s’appiattavano fra certi scogli a piè del Gargano; di là con una barchetta a notte chiara giungeva il messo alla rôcca, e dalle loro ciurme composte d’uomini scelti aveva D. Michele tolto i compagni che alla sua impresa gli bisognavano. In questa sera, mentre il castello era pieno di romori e di suoni, stava il Valentino seduto avanti ad una tavola al lume d’una lucerna ripassando per ingannar l’ore molte carte che i corrieri dei giorni innanzi gli avevan recate. Era vestito d’una cappa riunita davanti da una fila di piccoli bottoni col busto e le maniche di raso nero piuttosto strette, e sovr’esse molte strisce di velluto bianco volanti, e solo riunite al braccio in quattro luoghi da cerchii del medesimo panno: presso il collarino della cappa tre o quattro bottoni aperti lasciavan vedere un giaco di finissima maglia d’acciajo che portava sempre di sotto; abito che fu dal duca usato sovente; e chi ha visitato in Roma la galleria Borghese si ricorderà d’avervi veduto il ritratto suo per mano di Raffaello, vestito in tal guisa. Malgrado la forza della sua complessione, era travagliato di tempo in tempo da un umore acre della specie degli erpeti, che ora gli serpeggiava latente pel sangue, ora si scopriva alla