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222 | ettore fieramosca |
d’alto stato, e spesso per ajutare col segreto le poco lodevoli operazioni. Ma come dicemmo, alle mire politiche s’univano macchinazioni contro quella che era stata ardita abbastanza per mostrargli sprezzo; e queste macchinazioni, mediante la destrezza di D. Michele e secondo le sue promesse, dovevano in quella sera avere il loro effetto. Parrà forse difficile ad alcuno il concepire come quest’insigne ribaldo, rotto ad ogni sfrenatezza, potesse tanto stimare il possesso di una femmina, e seguirne con tanto studio la traccia. Ed in fatto sarebbe errore l’ammettere che l’amore, anche nel senso più abbietto, guidasse i desiderii del Valentino. Ma Ginevra aveva resistito, e resistito mostrando sprezzo ed orrore per lui; viveva, a creder suo, felice con un altro; gli pareva rimanere al di sotto e schernito: e chi nell’universo doveva potersi vantare d’aver fatto stare Cesare Borgia?
Di quante donne aveva incontrate che avesser pregio di bellezza, tutte aveva lasciate o colpevoli od infelici; e ve n’era pur fra queste delle virtuose e dabbene, e di tali che strette per sangue ad uomini potenti dovevan tenersi sicure. Si poteva ora sopportare che una femminella poco nota e meno curata si facesse beffe a tal segno di lui che faceva tremare Italia da un capo all’altro?
A quest’ora però il Valentino si trovava presso a poter far le sue vendette e diceva fra sè: il disagio d’essere stato in questa segreta me l’avrai da pagar caro! e per verità il soggiornare in camerucce simili ad una prigione, avvezzo com’era al vivere splendido della Corte romana, doveva parergli duro, se a quell’uomo fosser mai parse dure cento privazioni per ottenere un suo fine. I modi tuttavia d’impiegare il tempo non gli erano mancati interamente. Oltre le ore che aveva dovuto passar con Consalvo, e quelle spese ad ordir con D. Michele la traccia di loro impresa,