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capitolo xv. 215

combattenti (così consigliando Brancaleone sotto voce) pianamente si venner ritirando, e saltati a un tratto da questa nella loro, permisero agli altri di scostarsi. Ettore non si sarebbe così facilmente levato dal giuoco, se fra’ nemici avesse ravvisato il Valentino; ma non vedendolo, conobbe che in questo fatto aveva soltanto posto a rischio i suoi bravi, e gli parve troppo bassa impresa imbrattarsi nel loro sangue. Di più, visto che Ginevra era salva (almeno così stimava), credette miglior partito attendere a riconfortarla. D. Michele dall’altra si rose di vedersi rapire il frutto di tante brighe, e di non aver pensato nella prima confusione a metter la donna in salvo a prora; ma la cosa era fatta, e ben sapeva che voler ora tentare contra questi giovani bravissimi di riaver la sua preda, era un voler fare un buco nell’acqua. Ma lo sgherro del Valentino non avea però lasciata la sua sconfitta interamente senza vendetta. Mentre i tre compagni si ritraevano alla lor barca, gli era venuti stringendo colla spada nella diritta e ’l pugnale nella manca: ed a Fieramosca, che era rimasto l’ultimo, vibrò molti colpi, e nell’atto che scavalcava l’orlo gli venne fatto di pungerlo colla daga leggermente nel collo, ma nel calore della mischia Ettore non se n’avvide.

Così scostatisi scambievolmente, gli uni seguirono il loro viaggio verso Barletta, e gli altri si drizzarono al monastero.

La donna era avvolta in un lenzuolo. Fieramosca tutto ancora ansante la pose seduta meglio che potè, e liberatala dal panno che la copriva, invece di Ginevra trovò Zoraide svenuta: in tutt’altro momento avrebbe benedetto Iddio d’averla liberata, ma allora si trovava non aver fatto nulla quando credeva tutto finito. Che cos’era stato di Ginevra? Come trovava ora qui costei? Sospirò profondamente, battendosi col pugno la fronte, ed affrettando sè e i compagni (stupiti