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capitolo xv. | 213 |
Mentre queste cose accadevano nella rôcca, la barchetta, che portava Fieramosca e i suoi compagni, spinta da sette uomini robusti volava ondeggiando sul mare alla volta del monastero lasciandosi dietro una lunga striscia di spuma. Brancaleone vedendo che Fieramosca non pensava che a buttarsi sul remo con quanto n’avea nelle braccia, disse risolutamente: Orsù, Ettore, non so dove ci conduca, ma per certo, non par cosa da motteggio, e se s’ha a far davvero finchè questi giachi sono in fondo alla barca ei vorranno giovar poco. Persuasi da queste parole si misero quell’arme attorno usando cautela che un solo per volta lasciasse il remo per vestirsene. Cintesi le spade ed allacciatisi in capo certi cappelli di ferro leggieri, si diedero a vogare con una nuova furia sempre ficcando gli occhi pel piano del mare se potessero scoprire i loro avversarj: Ettore, strada facendo, raccontò con interrotte parole per qual cagione gli occorresse il loro ajuto: videro in quella una barchetta poco lontana e si torsero a quella volta; ma all’avvicinarsele s’accorsero che era condotta da una sola persona che lentamente andava verso Barletta. Per non perder tempo si drizzarono di nuovo al monastero senza aver potuto chiarirsi della figura di quello che remigava. Inigo consigliava che s’andasse accosto se mai avesse saputo o visto nulla, ma Ettore nol permise; l’ora fissata era trascorsa; e appena poteva sperar di giungere in tempo. Eppure se avesse seguito il consiglio d’Inigo quante sventure avrebbero isfuggite?
Il monastero di S. Orsola si veniva facendo più grande. Fieramosca si teneva gli occhi fitti, e vedeva tutte le finestre senza lume; a due tiri d’archibugio, ecco da manca venir un battello basso e lungo che andava come una rondine a fior d’acqua. Ettore, Inigo e Brancaleone dissero sotto voce e tutti insieme: Eccoli, e, voltata la prora a quella banda, raddoppiaron gli sfor-