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capitolo xv. 211


Fanfulla, che il caso o la sua astuzia avea reso padrone del segreto di D. Elvira, s’era disposto in cuor suo di farselo fruttare, ma non sapeva trovarne il modo; finchè, vedendo partire con tanto impeto il suo preferito rivale senza mantello nè berretto, gli nacque un pensier pazzo, ed egli che mai non istava un momento in forse ove si trattasse di soddisfare un capriccio, che che ne dovesse venire, tosto più pazzamente si pose ad eseguirlo.

Avea tenuto d’occhio la figlia di Consalvo e l’avea veduta, appena finito il ballo, avviarsi alla loggia e conobbe che non s’era potuta avvedere della partita di Fieramosca. Corse sollecito alla camera dei mantelli ove tutti avean ripreso il loro, e v’era rimasto soltanto oltre il suo quello di Fieramosca e la sua berretta di velluto scuro ornata di molte piume cadenti. Se la pose in capo in modo che le piume gli adombrassero parte del volto; sulle spalle si gettò il mantello azzurro del suo amico, e, a non guardarlo in viso, ognuno avrebbe detto che era Fieramosca. Così vestito s’andò fra gente e gente, cheto cheto sulla loggia, ove non eran lumi, e venivan soltanto dissipate le tenebre dal chiarore di quelli di dentro; molte casse d’agrumi disposte intorno ad una vaschetta, dal mezzo della quale zampillava l’acqua, ingombravano il luogo in modo che era facile celarsi da quelli che vi fosser venuti uscendo dalle sale del ballo. Quando Fanfulla entrò sulla loggia, per sorte non v’era persona, andò avanti cautamente, e vide D. Elvira seduta presso al parapetto che dava sul mare con un gomito appoggiato alla ringhiera di ferro; reggendosi ella il capo colla mano stava immobile guardando il cielo.

La luna era oscurata in quel momento da alcune nuvolette che le passavano avanti spinte dal vento. Fanfulla conobbe che se non coglieva quel punto, tornando chiaro, sarebbe stato più probabile che fosse ri-